Luce

Il riflesso della materia.
Tecnica mista: metallo, poliestere, legno, 2011.Croce plumbea, come i bagliori freddi dell’acciaio, dell’acqua che avanza, grigia, inarrestabile.
Croce che condanna alla morte i figli della materia, inneggianti alla tecnica, al progresso violento, incapaci poi di governare la portata distruttiva dell’ingranaggio che si inceppa.

Qui è fotografato l’urto dirompente dell’inondazione, la falla aperta nella centrale nucleare, lo spettro terrorizzante dell’esplosione. Allora la superficie si incide di ferite che si irradiano centrifughe, come il riverbero della catastrofe, come il flusso invisibile che contamina il mare e allarga la paura nel cuore. Solchi, che scavano dentro e sono tangibili impronte di rabbia e impotenza, tutto quello che resta dinanzi al muro irreversibile della tecnica.
Al centro della croce la fonte della luce, non più il Cristo, ma un campo magnetico, a rappresentare la sostituzione dell’energia vitale, fragile e calda, con l’occhio inerte della macchina, perfetto fino all’imprevisto. Non è il cuore, straziato, morente, è l’inconsapevole palpito dell’artificio. Non è il dolore, vibrante di speranza, è la cieca rottura, implicazione necessaria della conquista.
E i riflessi cangianti che si muovono lungo le venature della materia, seguendo la tangenza dei raggi, non sono il segno della vita che rinasce, più forte della morte, nei respiri delle creature della terra, ma solo lo scintillio metallico dell’umana creazione, luce apparente. Così s’affollano nella mente visioni desolate, soldati in trincea, foreste di fibra ottica, ricordi futuristi, miracolo della metropoli; non è più il telo bianco, che avvolge pietoso il corpo e custodisce l’anelito dell’anima, ma quel che s’impone è appena la povertà gelida della croce, rimasta a tremare nel vento di un cielo vestito di lutto. Ai suoi piedi le macerie, i caduti, forse l’idea salvifica di deporre l’assurda pretesa di un Dio Sintetico.





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